Giovedì Santo tra passato e presente …

Guerra, pandemia, conflitti sociali, crisi economica, problemi energetici e ambientali … Certo è un Giovedì Santo che non ci rende tranquilli e i ricordi vanno al passato non recente, a quei Giovedì che con la primavera portavano gioia, ci regalavano nuovi vestitini leggeri che noi bambini avremmo indossato per la passeggiata pomeridiana, mano a mano con i genitori, facendo lo “struscio” ovvero passi lenti, quasi trascinando i piedi con le scarpe nuove, per godere il più possibile il clima piacevole, i colori, le voci dei venditori e le risate della gente … Si era felici, in tempo di pace … E il giro delle Chiese per i visitare i “Sepolcri” che ricordavano l’ultima cena, con una scenografia artistica e varia nata dalla fantasia dei realizzatori utilizzando piante di grano spigato, di fiori, di candele e lumini, di tabernacoli di varia forma e ricchezza con l’Esposizione dell’Eucaristia … Una visita di Chiese in numero dispari: tre, cinque o sette … secondo le distanze, ma sicuramente nella tradizione che narra di sfortuna che coglie se le visite sono in numero pari ma, più religiosamente, il tre, cinque e sette sono numeri legati alle Sacre Scritture e,  In particolare il tre è legato alla trinità, il cinque alle piaghe di Cristo e il sette ai dolori di Maria. No scaramanzia, quindi!

Il Giovedì Santo ai tempi della pace, della crescita del Paese, della coesione e condivisione di “valori”, rendeva felici e vedeva famiglie unite e dialoganti intorno alla tavola che offriva la “Zuppa forte detta proprio del Giovedì Santo”: non una semplice zuppa di cozze, ma un capolavoro d’unione di cozze, polpo, “maruzzielli” (lumachine di mare), salsa concentrata di pomodoro e olio “forte” al sapore di peperoni piccanti e di colore rosso. diluita con brodo di polpo in cui far “ammollare” le friselle … Insomma, una cena preparatoria per il digiuno del Venerdì (quasi digiuno: c’era sempre qualche possibilità di mangiucchiare senza toccare la carne, ad esempio una fetta di “pizza con scarola, olive di Gaeta e capperi …), tenersi leggeri per le grandi abbuffate del giorno di Pasqua e i picnic supergastronomici di Pasquetta quando le forme non erano più “umane” ma tanto curvilinee e simili a quelle di  “uova” di cioccolato.

Giovedì Santo in tempo di pace era la porta per un cammino di speranze e di aria nuova come la Primavera. Oggi siamo molto più tristi, non sappiamo più ridere, dovremmo essere più uniti, come cantavamo dai balconi in tempo di lockdown, ma siamo più egoisti, vogliamo sempre di più e di tutto perché non sappiamo cosa significava a quei tempi avere il vestitino o quel paio di scarpe che sarebbero durati fino a quando dovevano essere passati a un fratellino o sorellina, perché vediamo la guerra come un film più o meno commovente, più o meno coinvolgente, che passa veloce senza “strusciare” o lasciare segni reali e che ci viene mostrato all’ora di cena … Davanti al ricordo di una zuppa forte forse dobbiamo meditare a ogni immagine forte e noi, bambini di quei Giovedì Santi, che non abbiamo fatto un mondo stabile di pace, di sicurezza, di sostenibilità, di salvaguardia ambientale e sociale, dovremmo riflettere molto di più per evitare errori del passato. Si dice così, ma sembra che la storia si debba ripetere per l’infinito!

(Foto da internet)

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