Il primo Natale: non ci resta che sorridere …

“Il primo Natale” è l’ultimo film di Ficarra e Picone, ma non ultimo: il successo è garantito e quindi ne seguiranno altri come premio del pubblico per i due comici che con  Nicola Guaglianone hanno scritto una storia nuova che non è nuova … E’ la storia notissima della nascita di Gesù vista da due persone, un ladro e un prete, che tornano indietro nel tempo ed è questo il “non nuovo”: tanti film ci hanno fatto viaggiare indietro nel tempo e, per esempio, altri due comici, Troisi e Benigni, ci hanno accompagnato nel passato con grande successo … Ficarra e Picone sono due comici popolari che si rivolgono a tutte le tipologie di pubblico, grandi e piccini, e il film fa l’occhiolino a ognuno, persino a chi non è credente e a chi crede, a chi cerca nel passato dei riferimenti alle situazioni presenti (ricordo il commento di Salvo quando di fronte alla costruzione lenta di una strada nel passato, dice: “Ma che sta costruendo? La Gerusalemme Reggio Calabria?”) o a valori etici e morali, sfiorando violenze, guerre, immigrazione e razzismo. Tutto ciò si intravede, ma non è stato approfondito e forse si poteva “giocare” su questo, ma i due amano farsi vedere al “neutrale”, far ridere con vecchie gag e alcune nuove e d’effetto. Sicuro, meno male, che non siamo di fronte a un Cinepanettone! Il film è pulito, mai volgare , piacevole … Sono state utilizzate belle location, panorami desertici, tante comparse, caratteristi, bambini e bravi attori e al di sopra di tutti Massimo Popolizio che è un erode crudele, ironico, simpatico …  Una presenza costante è quella del Presepe che, sia nel mondo attuale che nel passato, rappresenta il simbolo d’amore, di pace, di uguaglianza … Il personaggio fondamentale è quella statuina, che appare e scompare, del Gesù Bambino, bello, col ditino in bocca, simbolo della tranquilla innocenza e figlio di quel Dio che “fa miracoli, ma qualche volta deve essere aiutato da noi”, come dice il pretino quando rivede le sue convinzioni …

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Un giorno di pioggia a N.Y.: piacevole romanticismo

Il ritorno di Woody Allen è veramente di gran livello: con i suoi dialoghi dal ritmo frenetico, le semplici battute che lasciano il segno,  scene di una Manhattan che ci fa conoscere sempre di più attraverso le sue pellicole, i colori e la fotografia stupenda di Vittorio Storaro e la colonna sonora pregna di canzoni da piano bar … Ho scritto tutto? No. L’autore e regista conferma la sua bravura attraverso questo suo modo di affrontare l’argomento “amore giovanile” e le sue certezze-incertezze, le forze emotive e le debolezze, l’inesperienza nel prendere decisioni e la volontà di correre dietro la felicità. Sorrisi, tenerezza, riflessioni sulla vita e suoi ruoli assegnati dal destino e dai propri genitori nella società, sull’importanza del matrimonio e i probabili ostacoli (anche il modo di ridere del partner …), sulle scelte di vita. “Una giornata di pioggia a New York” porta lo spettatore in giro per la Città e per locali o Hotel di lusso, sotto un’acqua che fa anche da colonna sonora, non invadente. Alcuni scambi di parole colpiscono, come, se ricordo bene: “Il tempo è come un treno che va … di seconda classe: scomodo …” oppure : “La vita reale è per chi non sa fare di meglio” e, infine, la riflessione del giovane fumatore protagonista sull’aver comprato un bocchino per fumare, “cosi’ allontana l’enfisema e il cancro che prima o poi arriveranno … “. Bravi i giovani attori Timothée Chalamet, Elle Fanning, Selena Gomez, e conferme per Jude Law, Diego Luna, Liev Schreiber … Ottima interpretazione, poi, della pioggia, protagonista importante e legato al “destino” che è il tema base del film. Si torna a casa con una piacevole sensazione di gioventù regalataci da un ottantenne regista – artista che ci fa anche pensare con un semplice dialogo del film: “Piango sia ai matrimoni che ai funerali. Per lo stesso motivo”. Grande, no?

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La Belle Epoque: un can can di tenerezza e sorrisi.

Un gran bel film: in genere una recensione riporta il giudizio alla fine, ma questo film merita l’evidenza. Da anni non mi capitava di sorprendermi che fossero trascorse già due ore circa dall’inizio, senza intervallo: un susseguirsi di momenti di tenerezza, di sorrisi, di commozione e di romanticismo non permette distrazioni. Il risentirsi “giovane” del protagonista, ritrovando sensazioni, stimoli, batticuori, e il riportarlo alla realtà con una nuova forza e voglia di vivere, coinvolge ogni spettatore. In sala si sentono risate, commenti silenziosi, sospiri e, al termine, qualche applauso non frenato, come a teatro. La trama qui non la racconto, non è un thriller, né una commedia alla francese: la storia va vissuta per l’energia sentimentale che trasmette lo schermo verso chi guarda, portandolo “dentro” le varie situazioni, con un aggancio alla propria vita …  Buona la regia di Nicolas Bedos. Gli interpreti: il grande Daniel Auteuil che ogni volta riserva sorprese e trasuda esperienza, Fanny Ardant che col suo eterno fascino, il sorriso stupendo e quegli occhi lucenti, attrae oggi come anni fa,  Doria Tillier che non conoscevamo, sensuale, brava, trasformista, Guillame Canet che artisticamente cresce a ogni film, Pierre Arditi forte nella sua caratterizzazione, e tanti altri ben scelti e preziosi per il successo di questa pellicola che ha anche un’ottima fotografia. Cosa dire per concludere? All’accensione delle luci in sala, volti soddisfatti, commenti positivi, il volteggiare di ricordi e speranze degli spettatori: un can can …

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