Ho seguito sul giornale il dibattito tra l’imprenditore edile e l’insegnante, poi le lettere conseguenti. Essendo d’accordo sul fatto fondamentale e, oggi, cruciale, che sul primo potremmo dubitare che paghi tutte le tasse e abbia tutti i lavoratori in regola mentre la seconda versa sicuramente il suo contributo al fisco, vorrei, fare altre riflessioni sulle maltrattate “maestre”. Una volta si diceva che esse, pur facendo un lavoro stressante, guadagnavano poco perché lavoravano mezza giornata e inoltre potevano andare in pensione dopo 15 anni, 6 mesi e 1 giorno. Ne sposai una, convinta della missione di docente, di moglie e mamma. Pensammo che rispetto ad altre lavoratrici poteva accudire meglio i figli, la casa: meno soldi, ma più tempo per la felicità familiare. Col passare degli anni, gli orari e gli impegni si sono moltiplicati. Lezioni, programmazioni, collegi docenti, incontri con assistenti sociali, medici, responsabili vari del Comune, docenti di altre classi e scuole. Famiglia e compiti da preparare e da correggere, le lezioni e ricerche e addirittura giochi: lavoro a casa col computer, stampante calda. E il pensionamento è stato portato a 35 anni di servizio. Oggi, i bambini sono in vacanza e le maestre sono a scuola per riunioni di progetto in vista del prossimo anno e, improvvisamente, il pensionamento si allontana a 65 anni d’età. Lo stipendio? Parametrato negli anni, lo stesso. In pratica: avevamo fatto una scelta di vita e oggi aspettiamo la sera per farci compagnia e continueremo a sognare, per altri otto anni, riposo e una casetta al mare da comprare con quella liquidazione che arriverà più tardi. Forse.
Pubblicata su DNews Milano, oggi, pag. 11