Pubblicato oggi su QuiArese:
21 gennaio 2015 – Nei frenetici giorni di paura e sgomento per l’attacco al giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi, può essere sfuggita a molti la notizia che arriva dagli Stati Uniti sui Centri Commerciali. “Centro commerciale addio, negli Usa crolla il mito dei templi dello shopping” scriveva La Repubblica dell’8 gennaio e Renzo Rosso su Il Fatto Quotidiano del 19 gennaio: “Centri commerciali: la morte dei ‘mall’, non luoghi in rovina e non luoghi del web”. Già in aprile dell’anno scorso, il Post pubblicò immagini del fotografo statunitense Seph Lawless che mostrano ipermercati abbandonati nell’Ohio … Mega Centri Commerciali chiudono ogni giorno e qualcuno parla di futura “estinzione”.
Perché il successo dei Centri Commerciali? In un solo posto si concentrano numerosi negozi e vi si può trovare tutto. In essi si può anche trascorrere un momento di relax, vedere spettacoli, mangiare a prezzi economici, conoscere persone. Un luogo di aggregazione non solo di Suv e auto più modeste, ma anche di gente di ogni età. In paesini lontani dai grandi centri cittadini, sono posti di incontro, la “piazza” di una volta dove i giovani possono rimorchiare, gli anziani possono scambiare qualche parola e trascorre il tempo in ambienti caldi o freschi, secondo le stagioni… Facile vedere nei giorni festivi intere famiglie girare, guardare, comprare e fermarsi a pranzo o a cena mentre i bambini possono giocare in appositi spazi mentre i genitori attingono al portafoglio… I clienti dei centri commerciali sono stati per anni gli appartenenti a tutte le classi: ricchi e meno abbienti si recavano in queste strutture create per attrarre tutti, con grandi vetrine ben allestite, servizi in un concentrato di offerte. Molti giovani sono nati conoscendo questi mondi: essi sono nativi digitali e nativi mall…
Perché negli USA stanno chiudendo i grandi Centri Commerciali? La crisi economica, che in quel Paese è superata, non c’entra e nemmeno si possono incolpare le vendite on line, ancora a bassa diffusione. Il problema è legato alla forbice che c’è nella società: i ricchi preferiscono recarsi in negozi di stilisti di fama, glamour, e a prodotti di elevata qualità e spesso difficili da trovare, la classe dei lavoratori a salario fisso e diminuito potere d’acquisto, si recano ai discount cercando le offerte possibilmente a decente rapporto qualità/prezzo. Manca quasi del tutto la classe media che faceva da traino verso i Mega Center. Mentre resiste la grande distribuzione, quindi, diminuiscono le “Città dello shopping” dove ormai molti vanno solo per fare “window shopping” ovvero comprare con gli occhi attraverso le vetrine, Aumentano i negozi tipo “Tutto a un dollaro”.
Il blog Economia scrive: “Si tratta di una notizia piuttosto sorprendete vista e considerata la passione dell’americano medio per questi luoghi, che rappresentano per certi versi una sorta di simbolo del consumismo, ripreso tra l’altro in molti film. Basti ricordare la pellicola di Romero “L’alba dei morti viventi” che si svolge per intero dentro uno di questi Mall e rappresenta una sorta di critica al consumismo occidentale. A quanto pare questo mito inizia ad imboccare il viale del tramonto”. Gli Shopping Mall “morti” sono tanti e, addirittura, ci sono siti negli Usa che riportano i dati di chiusura giorno dopo giorno. In giro, restano edifici abbandonati, decadenti, piccole “Città Fantasma” che negli anni passati hanno visto parcheggi pieni, risse ai saldi, corsa al miglior acquisto. Il problema è enorme e l’Associazione dei Centri Commerciali (Council of Shopping Centers) ha addirittura incaricato società di comunicazione per contrastare la pubblicità “contro” queste megastrutture. Si è appena calcolato che su 1.200 Centri Commerciali, 180 potranno essere rasi al suolo nei prossimi mesi!
Nelle settimane scorse, ho fatto un giro in un Centro Commerciale di Rho, ma la stessa cosa ho notato a Cerro Maggiore o a Novate Milanese: molti negozi hanno le saracinesche abbassate, molti hanno cambiato gestione, altri stanno aprendo per tentare un’avventura. Parlando con alcune commesse, ho rilevato che nel periodo di Natale le vendite sono state abbastanza in media con gli altri anni, anche se si è preferito comprare regali a prezzi bassi e solo utili, per i saldi si spera in qualcosa di più, ma in periodi normali, senza festività, le cose non vanno bene e il timore di perdere il lavoro è presente.
Cosa c’entra ciò con l’Italia e, in particolare, con Arese? Forse poco, ma sicuramente è interessante l’analisi della notizia e qualche riflessione, partendo da un fenomeno che a noi sembra lontano non solo in chilometri ma anche nel tempo. Intanto anche in Italia la classe media sta sparendo, e quindi tutte le conseguenze dette sopra. La notizia che il Centro Commerciale in costruzione ad Arese probabilmente non verrà aperto nei tempi previsti, fa capire che c’è un po’ di tempo per ragionare sul futuro, non solo viabilistico e ambientale, che questo sito rappresenterà per tutti noi Cittadini. E, Più o Meno, ci poniamo tante domande, ad esempio “Cosa lasciamo di Arese in eredità ai nostri figli e nipotini?” o “Dopo il clou di Expo 2015 cosa resterà ad Arese?” oppure “La zona ex Alfa di Arese, Città dei Motori, sarà tra qualche anno ricordata come luogo storico-industriale del secolo scorso?”.
Un mio “Capo”, nelle riunioni sui cambiamenti aziendali in base a modelli americani organizzativi e tecnologici, oggetto di contestazioni, diceva sempre che è inutile non guardare agli altri Paesi perché prima o poi in certe situazioni ci arriveremo anche noi. Diceva: “E’ sufficiente guardare i film americani di qualche decennio fa per vedere come adesso stiamo vivendo le stesse situazioni, gli stessi problemi di crescita e integrazione, le stesse abitudini e standard di vita”. Concludo: Più o Meno ci conviene “osservare” e “riflettere” per “migliorare”, ovvero tentare di non fare gli stessi “errori”.
Francesco Gentile Questo articolo può essere commentato sulla pagina Facebook di QuiArese
da Mike, via mail: Le mode vanno e vengono e anche quella sui centri commerciali (secondo me sono la causa della morte di interi quartieri delle città) credo che prima o poi passerà…
I corsi e ricorsi storici, le mode che cambiano sempre ma che in fondo ripescano idee già sfruttate in precedenza come le gonne che salgono e scendono, i pantaloni che si allargano e si stringono, i colori e i tessuti che si ispirano a ciò che tessuto non è. Anche la strategia di vendita è cambiata nel corso degli anni, accelerando nelle modificazioni negli ultimi 20, 30 anni. I grandi mega store sono destinati a chiudere? E’ possibile! Per il momento da noi vanno ancora abbastanza bene, per tutti quei motivi che hai citato nell’articolo, attraggono un gran numero di persone, stimolano con effetti speciali a spendere per il superfluo, la qualità non è e non può essere delle migliori poiché è prioritario il prezzo competitivo, che si può ottenere grazie alla vendita di grandi quantitativi a qualità medio-bassa e con assistenza post vendita basso-bassa. Dovrebbe favorire il contatto umano, teoricamente, ma secondo me è l’esatto contrario, si è soli in una folla sconosciuta e spesso straniera. Ricordo con un po’ di nostalgia il negozietto dove il gestore diventava un amico, un consigliere, aveva la nostra fiducia, si faceva in quattro per dare soddisfazione al cliente….perché era il suo cliente! I vari commessi dei supermercati svolgono un semplice lavoro di routine, non hanno a cuore il cliente, a volte sono addirittura infastiditi perché forse i ritmi di lavoro sono troppo sostenuti, i turni sono pesanti, il tempo per riposare e ricaricarsi è poco. La crisi ha acuito questo disagio: si guarda tanto ma si compra poco. E’ logico prevedere in un futuro un ritorno al negozio di dimensioni più umane, anche perché, diciamolo, per fare una spesa veloce, in un grande supermercato, ci vuole troppo tempo, è quasi un viaggio stressante!
da Facebook di QuiArese, Antonio Lepore: Non solo non mi è sfuggita questa notizia ma l’ho postata su Arese in TESTA.
da Facebook di QuiArese, MI PIACE: Aurelio Civalleri, Massimiliano Seregni, Catharina Amato, Alessandro Gobbi, Carmen Diletta