La mia lettera pubblicata oggi da La Repubblica -Milano; nella foto, la risposta del giornalista Piero Colaprico:
Ho seguito la radio nel momento in cui c’era un’intervista a poveri e senza casa, italiani e stranieri. Sono tanti i casi in Italia e nel servizio facevano un confronto con altri Paesi evidenziando come vengono assistiti oppure, in molti Paesi dell’Est, vengono sempre più inasprite le pene nei confronti di irregolari e nullatenenti. L’Italia, a volte, sembra far venir fuori brutti segnali di razzismo: i fatti di Busto Arsizio nel corso di una partita di calcio sono forse l’ultimo esempio, ma ritengo che la maggior parte degli italiani sia molto aperta e sensibile ai problemi di queste persone. Qui volevo rilevare che sono stato colpito dalle risposte di un uomo di colore, senza permesso di soggiorno, che ha detto di riuscire a vivere in qualche modo nel nostro Paese: abita in un nascondiglio con una donna e un ragazzo italiani, viene aiutato da persone generose, anche per le cure della salute. Ad un certo punto, parlando del lavoro, egli ha detto che ogni tanto gli affidano qualcosa da fare, ovviamente si tratta di “lavoro da nero”: così ha detto e io penso in buona fede, forse non gli hanno mai spiegato che il “lavoro in nero” è sempre esistito nel nostro Paese e non fa riferimento al colore della pelle, ma al fatto che vengono evase le tasse. La mia riflessione si è concentrata su “lavoro da nero”: visto il grande numero di disoccupati più o meno giovani in Italia, è possibile, invece, che ci sia qualcuno che preferisca non lavorare anziché impegnarsi in alcune tipologie di attività? Ci sono, per caso, differenze di trattamento, di remunerazione, di sicurezza? Esiste, quindi una lista di “lavori da bianco” diversa di quella dei “lavori da nero”?
Esistono posti di lavoro che sono rifiutati in assoluto dai nostri giovani perchè pagati poco e piuttosto duri e faticosi, ad esempio raccogliere i pomodori, le patate, distribuire i volantini nelle buche delle lettere e così via. Ovviamente quelli diventano lavori, molto precari, a completo appannaggio di extracomunitari di tutti i colori possibili. Poi ci sono altri posti di lavoro che non richiedono grandi specializzazioni, lavori dove serve forza fisica e orari di lavoro variabili, ad esempio scaricare i camion ai mercati centrali, operai generici di magazzino che devono movimentare le merci o che devono rifornire gli scaffali di supermercati, anche questi sono posti riservati agli extracomunitari ma solamente perchè solo loro si accontentano del compenso proposto, del resto i datori di lavoro sono ben contenti di riuscire a trovare manodopera a basso costo e di non dover sborsare di più per avere una tipologia di lavoratori “diversa”, a parità di lavoro eseguito, dal punto di vista qualitativo e quantitativo. Su questa scia di ragionamento è facile immaginare perchè si trovino anche operai extracomunitari regolarmente inquadrati, sicuramente il salario di partenza era quello “minimo di categoria”, e ben accettato da questi lavoratori, che si potranno così guadagnare la stima di capi e colleghi lavorando con entusiasmo e col sorriso sulle labbra perchè in un contesto di crisi del lavoro loro “ce l’hanno fatta!”.
è la domanda che mi sono sempre posto anch’io quando vedo le interviste a lavoratori stranieri che lavorano regolarmente inquadrati in industrie soprattutto del nord. Come è possibile che i nostri giovani non siano riusciti ad intercettare quei posti? la risposta ancora non l’ho trovata
da Michele Guglielmucci via mail: Very good!
Da Danilo Pattaro, via mail: Buana, io avere bisogno lavoro grigio, con sfumature prevalentemente bianche
Complimenti !
Sei sempre forte …
Ciao Anna
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